La notizia della morte di
Arnold giunge come un fulmine a ciel sereno e mi getta in uno stato di profondo
sconforto. L’evento è di tal magnitudo che almeno due punti fermi della mia vita, sui quali si basavano molte delle mie aspettative future, vengono messi in discussione:
Dal fidato TG1 apprendo nell’ordine che:
Profondamente affranto, decido di scrivere una accorata lettera di condoglianze ai congiunti del defunto.
Rifletto per un attimo sull’idioma da utilizzare per redigere la missiva e alla fine opto per l’italiano, mi conforta il fatto che in anni di programmazione non ho mai sentito alcun membro della famiglia commettere errori di sintassi o di pronuncia.
Ho appreso dalla televisione della tragica scomparsa del nostro amato Arnold. Anche se mai abbiamo avuto modo di conoscerci volevo porgervi le mie più sincere condoglianze.
Tutti voi (anche se, in effetti, della signora domestica fatico a ricordare il nome) siete stati per me dei preziosi consiglieri di vita.
Dovete sapere che per molti della mia generazione la televisione ha rappresentato un degno surrogato dell’affetto famigliare.
Mentre mia madre Bianca era impegnata a svilire e troncare sul nascere tutte le mie iniziative, e mio padre Ioli lavorava come un negro (scusi! È un nostro modo di dire), è solo incamerando sapere dal tubo catodico che ho imparato a vivere.
Da “Bo and Luke” ho appreso a guidare , dall’”A-Team” come si risolvono i problemi, guardando “Happy Days” ho capito che i bulli in giacca di pelle rimorchiano un botto e hanno sempre ragione, dai “Visitors” e “Megaloman” che gli alieni esistono e che gli stessi possono essere sconfitti qualora qualcuno si faccia crescere i capelli e pronunci le fatidiche parole “Fiamma di Megalopoli”.
Le vostre storie, a volte commoventi, a volte ricche di humor, mi hanno aiutato a crescere come uomo e come persona. Arnold per me era il fratello che non ho mai avuto (mentre ho una sorella probabilmente adottata che, secondo la mia ricostruzione, è ci è stata fornita in omaggio dopo che mamma aveva comprato 2 confezioni da 1 Kg di arachidi), era il figlio di colore che Ioli mai avrebbe accolto in casa.
Ho passato intere giornate fantasticando su come avrebbe potuto essere la mia famiglia con un “Arnold in più”: ho riso immaginandoci tutti insieme vicino al camino con il mio fratellino intento a redarguire mio padre con il suo famoso “Che cavolo stai dicendo Ioli”, ho ricreato nella mia mente dotte disquisizioni sul paradosso insito in una famiglia ove ad un figlio nero si contrappone una madre di nome Bianca.
Lasciatemi anche aggiungere che le vostre vicissitudini mi hanno aiutato nel difficile passaggio dalla infanzia alla adolescenza, giungendo a rappresentare con il tempo, un punto quasi inamovibile nella galassia delle mie fantasia sessuali più turpi e peccaminose.
Mia dolce Kimberly, mi rivolgo a te come una zia potrebbe parlare alla figlia di un giornalaio, se oggi sono una persona dalla sessualità quasi mai deviata è anche grazie alle conturbanti orge che hai consumato nella mia testa con i 2 tuoi fratelli di colore all’insaputa del povero Sig Drummond.
Voglio salutarvi così, con questa immagine di profonda accettazione e rispetto interculturale, nella speranza che le mie umili parole siano testimonianza dell’affetto e della stima nei confronti dello splendido e indimenticabile Arnold.
Quando sono sul punto di profumare la mia lettera con alcune gocce di Chanel Nr 5 un dubbio mi assale: “Siamo davvero certi che tutti loro sapessero di essere ripresi?” “E se si fosse trattato invece di una sorta di Truman Show registrato all’insaputa dell’intera famiglia?”
L’insicurezza mi assale e l’idea di comunicare al
provato signor Drummond una verità potenzialmente devastante, soprattutto in un momento di evidente difficoltà emotiva, mi obbliga a stracciare la missiva. In un atto di squisito e sublime simbolismo scelgo di recarmi quindi dal vicino Nano per porge a lui – e contemporaneamente a
tutti i nani della terra – le mie condoglianze.
Busso con insistenza per almeno 15 secondi prima di udire la sua voce proveniente dall’interno: “Chi è?” domanda.
“Apri, ti debbo parlare” gli rispondo.
Dopo un attimo di silenzio risponde: “Hai intenzione di spararmi questa volta o ti limiterai solamente ad investirmi?”
“Pensavo stessi giocando” rispondo “dai aprimi, c’è una cosa importante che ti debbo dire”.
“Ti rendi conto che mi hai segnalato come possibile terrorista? Rincara la dose.
“Non sapevo che stessi facendo nel tuo garage” rispondo “e comunque davvero, aprimi, non mi piace parlare con una porta”.
“Rimani fuori sino a quando decido io” ribatte “avresti potuto domandarmelo che ci facevo in garage, te lo avrei detto senza problemi”.
“Non volevo disturbarti” rispondo “ e poi con
voi terroristi non si da mai”.
Apre la porta di scatto, con una velocità inaspettata mi calcia due volte lo stinco destro e rimane a fissarmi.
Il dolore è molto forte e per un attimo ne sono accecato, cerco di afferrarlo per i capelli ma indietreggia rapidamente schivando il mio attacco.
Non lo vedo partire ma lo sento arrivare, mi colpisce altre due volte nello stinco lasciandomi senza fiato.
“Ok” dice “questi te li dovevo, cosa vuoi da me?”
Faccio l’ultimo tentativo di raggiungerlo con un calcio ma il nano è davvero veloce, evita il mio colpo e mi sferra un pugno alle palle. Cado a terra dove ci rimango per almeno 4 minuti.
“Tu sei un pazzo” gli dico “ero qui per farti le mie condoglianze”
“Il pazzo in realtà sei tu” ribatte “perché primo non è morto nessuno che io conosca, e secondo mi hai fatto passare uno dei giorni più brutti della mia vita con la tua denuncia”
“E’ morto Arnold” gli grido in faccia “mi sembrava un bel gesto venire a farti le condoglianze…ma a quanto pare a te interessa solo la vendetta”.
Rimane per un minuto a fissarmi, nel mentre sono riuscito a mettermi seduto, il dolore gradualmente sta svanendo.
“Nel migliore dei casi sei la persona più strana che io abbia mai conosciuto” esordisce “nel peggiore sei da camicia di forza”.
Mi aiuta a rialzarmi e mi indica di seguirlo dentro casa. Mi fa accomodare su di un divano bianco che io provvedo immediatamente a sporcare con le mie
All Star sudice in sprezzante gesto di sfida e vendetta.
“E’ un divano lavabile, coglione” mi dice ferendo profondamente il mio orgoglio.
“Ora spiegami perché a me dovrebbe importare qualcosa della morte di Arnold” dice poco dopo.
“Pensavo per te fosse importante, come dire..fosse uno di voi, magari un simbolo..ho pensato potesse farti piacere avere qualcuno vicino in questo momento” rispondo.
Mi fissa in silenzio.
“Quindi saltuariamente tu provi sentimenti e sei capace di gesti che si potrebbero definire…umani”.
La sua affermazione mi stupisce, percepisco una sorta di vicinanza tra di noi, decido di approfittarne: “Che ci fai in garage?”
“Leggo i miei Dylan Dog senza che mia moglie mi rompa” risponde.
“Sai leggere?” domando.
“Non fare il figlio di puttana” ribatte “mangio, dormo, respiro, leggo come fa qualsiasi altra persona”.
Coglie il mio sguardo perplesso e decide di rilanciare.
“Toccami le braccia” dice.
“Mi fai senso..potresti attaccarmi la
nanite” rispondo d’istinto.
“La nanite non esiste idiota, toccami il braccio” insiste.
La sua risolutezza mi convince, con il mio dito indice tocco il suo grassoccio avambraccio.
“Sei diventato nano?” domanda.
Non rispondo.
“Aspettami qui” mi dice “ e non sporcarmi il divano”.
Mi tolgo una
caccola dal naso e gliela spalmo in uno dei braccioli in segno di sfida.
Torna, ha in mano una busta, estrae quelle che all’apparenza sembrano delle lastre, me le porge.
“Queste me le hanno fatte dopo che mi hai investito” mi dice, “che ci vedi?”.
“Ossa…qui invece c’è un
cranio” rispondo.
“Come ti sembrano?”
“Finalmente! Esclama..è proprio così”.
Rileggo molti dei miei ultimi comportamenti sotto la lente di queste nuove considerazioni e sento un profondo senso di disagio salire in me.
“Ti prometto una cosa” continuo “d’ora in poi mi comporterò bene con te”.
Comincio a muovere su e giù le ginocchia ritmicamente, il nano che in un primo momento non capisce, d’improvviso sgrana gli occhi.
“Non sono né un bambino né un bambolotto..smettila di muovere le gambe che vomito”
Non presto attenzione a quanto mi dice, la mia voce è quella di una mamma che sta coccolando il suo bambino: “e ti comprerò
tanti vestitini nuovi tutte le settimane, vero amore?”
“Smettila cretino!” mi intima.
Ormai sono entrato nel loop “Genitore modello”, “Picipicipicipici..pucipucipucipuci..hai fame amore? Vuoi la tettina?” e così dicendo alzo la maglia e forzo la testa del malcapitato
verso il mio petto.
“Mi hai fatto male cretino” gli dico.
“Volevi alimentarmi al tuo seno” risponde.
“Poteva essere il suggello alla nostra amicizia” ribatto.
“Senti…sei un pazzo ma un pazzo buono, dimentichiamo tutto quello che è successo, magari una volta usciremo a bere qualcosa, adesso però vattene a casa tua e lasciami stare”.
Mi alzo e mi dirigo verso la porta, sento che se me ne andassi così vivrei il resto della mia vita da
vero sconfitto…ed io odio perdere.
“Ci vediamo” gli dico sulla soglia “e….ti ho spalmato una caccola sul divano”.
Mi giro giusto in tempo per evitare un suo calcio, saluto sorridendo il mio nuovo amico e me ne torno a casa.